(Pensieri in libertà dopo che la squadra JBK U14L ha conquistato il record di miglior difesa del girone B, con 1361 punti subiti in 24 partite, giocando a zona...)
Conobbi sul campo la zona nella stagione '87/'88... Ero 21enne, fresco di patentino di Allenatore Nazionale; avevo appena terminato la formazione specifica come istruttore di settore giovanile risultando, dopo un triennio, terzo a livello nazionale dietro nientemeno che Luca Banchi e Franco Ciani... mi sentivo di toccare il cielo del basket con un dito! Mi avevano chiamato ad allenare a Modena, alla Città dei Ragazzi, il gruppo classe '72 che aveva appena vinto il titolo regionale Allievi (gli attuali U15) e si apprestava a giocare nella categoria Cadetti (ora sarebbe U17) il campionato d'Eccellenza. La prima giornata di campionato giocammo contro la Virtus Bologna, che era allenata da un giovane di sicuro avvenire, Ettore Messina. Primo tempo equilibrato, ce la stavamo cavando bene per essere completamente sotto età. Poi, rientrati dagli spogliatoi cambiò la musica: Ettore mise i suoi a zona e il nostro attacco, fatto di tanta individualità in 1c1, si stampò contro il muro umano bianconero. Perdemmo di 40: per una squadra abituata ad essere competitiva in assoluto fu uno choc. Io di quel sabato ricordo la mia frustrazione totale per essere stato incapace di dare ai miei la benché minima indicazione di come orientarsi di fronte a quella situazione per loro (ed anche per me) completamente nuova. Il giorno dopo andai a vedere una partita della squadra che in regione giocava la miglior pallacanestro a detta di tutti, l'Andrea Costa di Lino Bruni che vinse imbattuta la serie C facendo, grazie alla ristrutturazione dei campionati nazionali, il clamoroso balzo di 2 categorie nella stessa stagione, dalla C2 alla B2, appunto, ed iniziando quel glorioso percorso che portò Imola fino all'A1. Presi appunti su come quella squadra attaccasse mirabilmente la zona usando le spaziature, la circolazione di palla e le finte di passaggio. Mi si aprì un mondo, che dal lunedì successivo, col capo cosparso di cenere, portai immediatamente in palestra. Dopo alcuni anni di sperimentazione offensiva, mi sarebbe piaciuto approfondire anche gli aspetti difensivi del sistema "zona". Avevo più volte affrontato da vice allenatore in serie B uno che della zona faceva la sua arma fondamentale, quel Dado Lombardi capace di portare in serie A, e sempre contro di noi imolesi, prima Verona poi Siena. La solidità difensiva delle sue squadre mi affascinava, preparare la partita contro la sua difesa era un vero rompicapo. Decisi di formarmi alla fonte: iniziai a registrare tutte le partite NCAA che la tv degli anni '90 passasse. Internet era agli albori e non permetteva ancora di condividere video con la facilità di oggi, allora i filmati ce li si scambiava con le videocassette VHS e li si vedeva unicamente attraverso i videoregistratori. Guardai diverse partite dei College USA, finché non mi imbattei nella Temple University di coach Chaney e nel suo sistema difensivo a zona, il fantomatico "the thing", "la cosa"... "Quello!" mi dissi, "è quello che voglio mettere in campo": c'era grande pressione sulla palla, ai giocatori era richiesta tanta abilità tecnica per lavorare sulle linee di passaggio e sugli attaccanti in area, ma anche competenze tattiche ed una grande capacità di anticipazione di ciò che l'attacco stava per fare... Sperimentando, di lì a qualche anno ho acquisito visione, metodologia, e sicurezze tecnico tattiche su quel sistema difesivo. Ma fu nel 2006 a Pontevecchio che quella difesa divenne per la prima volta "la difesa": non un'alternativa tattica in cui rifugiarsi in caso di bisogno, come fece quel fatidico sabato Ettore a Modena per mettere "in freezer" un branco di ragazzini virtuosi nell'1c1, ma un vero e proprio sistema difensivo capace di condizionate per tutti e 40' i minuti l'avversario a prescindere dalle sue qualità. Una spinta decisiva
Conobbi sul campo la zona nella stagione '87/'88... Ero 21enne, fresco di patentino di Allenatore Nazionale; avevo appena terminato la formazione specifica come istruttore di settore giovanile risultando, dopo un triennio, terzo a livello nazionale dietro nientemeno che Luca Banchi e Franco Ciani... mi sentivo di toccare il cielo del basket con un dito! Mi avevano chiamato ad allenare a Modena, alla Città dei Ragazzi, il gruppo classe '72 che aveva appena vinto il titolo regionale Allievi (gli attuali U15) e si apprestava a giocare nella categoria Cadetti (ora sarebbe U17) il campionato d'Eccellenza. La prima giornata di campionato giocammo contro la Virtus Bologna, che era allenata da un giovane di sicuro avvenire, Ettore Messina. Primo tempo equilibrato, ce la stavamo cavando bene per essere completamente sotto età. Poi, rientrati dagli spogliatoi cambiò la musica: Ettore mise i suoi a zona e il nostro attacco, fatto di tanta individualità in 1c1, si stampò contro il muro umano bianconero. Perdemmo di 40: per una squadra abituata ad essere competitiva in assoluto fu uno choc. Io di quel sabato ricordo la mia frustrazione totale per essere stato incapace di dare ai miei la benché minima indicazione di come orientarsi di fronte a quella situazione per loro (ed anche per me) completamente nuova. Il giorno dopo andai a vedere una partita della squadra che in regione giocava la miglior pallacanestro a detta di tutti, l'Andrea Costa di Lino Bruni che vinse imbattuta la serie C facendo, grazie alla ristrutturazione dei campionati nazionali, il clamoroso balzo di 2 categorie nella stessa stagione, dalla C2 alla B2, appunto, ed iniziando quel glorioso percorso che portò Imola fino all'A1. Presi appunti su come quella squadra attaccasse mirabilmente la zona usando le spaziature, la circolazione di palla e le finte di passaggio. Mi si aprì un mondo, che dal lunedì successivo, col capo cosparso di cenere, portai immediatamente in palestra. Dopo alcuni anni di sperimentazione offensiva, mi sarebbe piaciuto approfondire anche gli aspetti difensivi del sistema "zona". Avevo più volte affrontato da vice allenatore in serie B uno che della zona faceva la sua arma fondamentale, quel Dado Lombardi capace di portare in serie A, e sempre contro di noi imolesi, prima Verona poi Siena. La solidità difensiva delle sue squadre mi affascinava, preparare la partita contro la sua difesa era un vero rompicapo. Decisi di formarmi alla fonte: iniziai a registrare tutte le partite NCAA che la tv degli anni '90 passasse. Internet era agli albori e non permetteva ancora di condividere video con la facilità di oggi, allora i filmati ce li si scambiava con le videocassette VHS e li si vedeva unicamente attraverso i videoregistratori. Guardai diverse partite dei College USA, finché non mi imbattei nella Temple University di coach Chaney e nel suo sistema difensivo a zona, il fantomatico "the thing", "la cosa"... "Quello!" mi dissi, "è quello che voglio mettere in campo": c'era grande pressione sulla palla, ai giocatori era richiesta tanta abilità tecnica per lavorare sulle linee di passaggio e sugli attaccanti in area, ma anche competenze tattiche ed una grande capacità di anticipazione di ciò che l'attacco stava per fare... Sperimentando, di lì a qualche anno ho acquisito visione, metodologia, e sicurezze tecnico tattiche su quel sistema difesivo. Ma fu nel 2006 a Pontevecchio che quella difesa divenne per la prima volta "la difesa": non un'alternativa tattica in cui rifugiarsi in caso di bisogno, come fece quel fatidico sabato Ettore a Modena per mettere "in freezer" un branco di ragazzini virtuosi nell'1c1, ma un vero e proprio sistema difensivo capace di condizionate per tutti e 40' i minuti l'avversario a prescindere dalle sue qualità. Una spinta decisiva
Con Ettore Zuccheri alla consegna del "Papini" |
in questo passaggio la devo a Ettore Zuccheri, grande saggio della pallacanestro bolognese (premio Papini alla carriera come istruttore giovanile nel 2016), divulgatore come pochi di esercizi e concetti per la formazione dei giocatori, con cui ebbi la fortuna di collaborare durante il biennio @ PV. Ettore teorizzava una formazione del giocatore partendo proprio dal gioco a zona e accolse con grande entusiasmo quella che lui definì la "difesa Massari". Sempre in quel magico periodo, i "Giganti del Basket", la rivista mensile di tecnica allora più in voga, pubblicò in due puntate un mio articolo su "i presupposti del gioco a zona", in cui gli elementi difensivi che proponevamo erano analizzati e sviluppati nella loro progressione didattica. Fu una grande opportunità quella per affermare il gioco a zona come sistema formativo e non come espediente tattico per vincere una partita. Oggi, a distanza di oltre 10 anni, quella difesa mi ha seguito ovunque: posso dire con certezza che chi si è formato giocando questo sistema difensivo, poi ha saputo diventare eccellente specialista a livello senior anche nella difesa individuale perché, contrariamente alle zone "speculative", la base del sistema è assolutamente la tenuta in 1c1.
Mi capirete quindi, perché vivo davvero in modo speciale quello di cui i miei ragazzi U14 mi hanno reso partecipe: "Mauri, la Virtus Bologna nell'ultima di campionato a Vis 2008 Ferrara ha subito più di 55 punti: siamo la miglior difesa del girone B..." L'umiltà è una strada virtuosa ma impervia, richiede grandi conferme. Ai boys predico umiltà e coraggio come qualità imprescindibili per diventare giocatori: solo così una squadra "di quartiere" come quella CdR Modena del 1988, come quella PV Bologna del 2006 o come questa JBK Ravenna del 2018 possono competere con le migliori squadre italiane e coltivare il proprio sogno. La zona?!? In tutto questo solo un insignificante dettaglio...
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